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18/11/2018 - PARCO NATURALE ED ARCHEOLOGICO DI MONTERANO - I SUOI SUGGESTIVI RUDERI
ESCURSIONE AL PARCO PARCO NATURALE E ROVINE DI CANALE MONTERANODomenica 18 novembre 2018-11-05********************************************* Divagazioni Monterane - Riserva Naturale Monterano - 10 nov 2018 MONTERANO: ALCUNI CENNI DI STORIA La presenza di numerose caverne naturali ed artificiali (Greppa dei Falchi e lungo le valli del Bicione e del Mignone), ed il rinvenimento nel comprensorio monteranese di reperti archeologici dell’uomo dell’età della pietra (lame di selce, punte di frecce), testimoniano una frequentazione umana preistorica, favorita dalla presenza di boschi ricchi di fauna, di innumerevoli differenziati torrenti, fiumi e fossi, che in tutto il corso dell’anno, alternativamente, hanno sempre assicurato un consistente fabbisogno idrico. Non risultano però condotti a termine sistematici studi sui periodi della pietra, paleolitico e neolitico o, quantomeno, a noi non noti, perché non ancora pubblicati. Disponiamo invece di maggiori certezze di presenza umana del periodo appenninico e delle età del rame, nonché evidenti dell’epopea etrusca. La Monterano, medievale, giunta a noi in tempi relativamente recenti, è stata distrutta nel 1800 ad opera degli invasori francesi, senza pietà, senza alcune motivazioni note e/o plausibili. Circolano varie ipotesi sull’increscioso fatto, ed io accredito quella di una certa “disputa” tra tolfetani e monteranesi. Gli agricoltori tolfetani possono esserne stati la causa, a cui i monteranesi non consentirono di macinare grano nella Mola di Ceccarelli sul Mignone. Investirono questi, del problema, dopo il rifiuto, i militari francesi, che avevano comando temporale sul territorio, paventando loro l’interruzione della somministrazione del pane quotidiano, che i militari ricevevano gratuita, quale diritto di conquista. La distruzione della cittadina fu quasi letale, dapprima colpita dall’artiglieria francese posta sul colle della Madonnella-Greppa dei Falchi, poi saccheggiata di ogni cosa di pregio, per finire l’opera con la demolizione delle case, chiese ed opifici superstiti, con cariche di dinamite. I molini ad acqua, al tempo, rappresentavano strumento indispensabile per la sopravvivenza delle popolazioni contadine. Nei periodi siccitosi di alcuni corsi d’acqua la macina dei cereali non poteva esser effettuata, fatto che arrecava grave disagio ai paesi implicati. Il ciclo di produzione del pane quotidiano veniva interrotto, onde il ricorso a molini limitrofi, finché le piogge non riportavano in esercizio le loro mole. Giusta quindi la reazione degli abitanti della Tolfa, di fronte al rifiuto di macinare il grano in Monterano, ma troppo esagerata la punizione-condanna. Il Colle frequentato fin dalla civiltà appenninica, potrebbe riservare interessanti sorprese archeologiche. In particolare reperti del periodo etrusco potrebbero emergere sotto i ruderi delle abitazioni. Non risultano effettuati scavi, in tal senso, nella vasta piazza al centro del pianoro e sul perimetro, ove sorgevano le abitazioni. La città poggiava su un altipiano di tufo difeso naturalmente su tre lati. Classica disposizione dei centri Rasenna. Essa era raggiungibile attraverso quattro porte urbiche tuttora evidenti. Le tombe erano poste sul perimetro della città, nella parte alta c’era una vasta acropoli, ove è stato edificato il palazzo baronale, mentre sicuramente erano presenti almeno due templi, posti sotto le fondamenta della cattedrale altomedievale di S.Maria e della Chiesa-Comvento di S. Bonaventura. L’economia, fondamentalmente agricola e pastorale, consentiva un discreto commercio con i vicini centri minerari, attraverso alcune strade: la Via Clodia principalmente, mentre altre due che si dipartivano verso ovest raggiungevano Cere e Tulfa. Lungo le rocce scoscese, gli etruschi, avevano realizzato vari sentieri di rapida evacuazione (vie cave) e di non facile identificazione. Le porte urbiche, almeno quattro, erano ben controllabili e scendevano in “tagliate” od erano protette da imponenti mura di difesa (porta Romana, Porta gradella per raggiungere il passo del Canalicchio ed il tratto medio del Mignone, del Cavone e Porta Ovest per il corso del Bicione, e di accesso alla valle del Mignone) Al periodo etrusco segue un periodo di lento abbandono della città, che la dominazione romana, con il diffondersi del latifondismo causò. Intorno al IV secolo d. C., le invasioni di popolazioni germaniche spingono il vescovo e gli abitanti della prossima Forum Clodii, ad un certo incastellamento, abbandonando i territori pianeggianti per portarsi sul colle monteranense, luogo di più sicuro rifugio. Vennero così sistemate le preesistenti vie di comunicazione, presumibilmente costruito l’acquedotto, edificate le abitazioni e le chiese sulle strutture etrusche, sistemata una sede vescovile e costruita la cattedrale di S. Maria. Nel 1597 Papa Clemente VII, in viaggio per Bracciano da Allumiere, percorrendo a cavallo una strada ora scomparsa, così descrisse la sua avventura: “ … cavalcando per chine scoscese, passato il Mignone, che con chiare acque attraversa quelle montagne, entrammo nel vago e dilettevole paese di Monterano, famoso per gli ottimi vini (alicante), verdeggiante per gli spessi e foltissimi grani …”. Nella Diocesi monteranense, in base ai concili romani risultano essersi alternati i seguenti vescovi:
L’ultimo vescovo è risultato Giovanni II (998), nell’anno 1000 la diocesi di Monterano passa sotto quella di Sutri, ma alcune date su riportate sono indecifrabili (n.d.r.), contrassegnate con l’asterisco. Queste presuppongono periodi di vescovado ben superiori a cinquanta anni. Ma potrebbe trattarsi di omissioni, errori di trascrizione degli amanuensi oppure, nell’ambito di un non trascurabile nepotismo, attribuzioni di nomine a minori che tennero il mandato per oltre 50 anni. Emilio Bonaventura Altieri, papa Clemente X, al soglio pontificio nel 1670, acquistò i feudi di Monterano, Oriolo e Viano (Veiano), facendo eseguire molti lavori in Monterano. Si affidò al migliore artefice del Barocco romano, Gianlorenzo Bernini. L’architetto progettò la chiesa ed il convento di S. Bonaventura, la fontana ottagonale e riordinò mirabilmente la facciata del palazzo baronale, collegando le torri con una loggia a sei arcate, sovrapposta alla fontana ed alla cascata del Leone. Mentre in seguito venne edificata la piccola chiesa di S. Rocco, a fianco del palazzo baronale, dedicata al Santo dopo che in paese venne sconfitta una violenta epidemia di peste. Ed è noto che il Santo è il protettore dei pellegrini, degli appestati e più in generale dei contagiati, dei farmacisti e dei becchini, in alcuni luoghi anche dei lavoratori delle pelli e, per finire, dei nostri più fedeli amici a quattro zampe, i cani. Però … questo San Rocco! Vanì, 5 novembre 2018 Documenti sul sito ELUCUBRAZIONI IVANESCHE …. L' ESCURSIONEDomenica 18 novembre: finalmente riusciremo a sgranchirci le gambe e le articolazioni rugginose e crocchianti, dopo un forzato riposo quindicinale imposto da “Giove pluvio”?L’escursione in programma è notevole, e sarebbe già sufficiente percorrere soltanto i due eccezionali percorsi “natura” del Parco per appagare le lunghe attese del Gruppo. Questo grazie alle cure dell’Ente gestore del sito, e bisogna riconoscere che questo non teme confronto con analoghi luoghi presenti nel Lazio. Un appunto? Il divieto di accesso entro il palazzo Ducale, nella Chiesa di San Bonaventura e nel Cavone etrusco. Noi per fortuna conosciamo dei passaggi segreti!Il cielo, spero, sarà coperto al punto giusto, le luci soffuse e l’aria ovattata, classici spunti del mese di novembre. Il bosco e la natura, così, ci renderanno i più bei colori e le migliori sensazioni proprie autunnali.Giù dal parcheggio, scenderemo il ben restaurato senti eretto, per portarci sotto la gradevole cascata della Diosilla - ove un tempo scivolò e perse la vita una ragazza del luogo, tal Deosella - posta sulla confuenza del Fosso della Fonte del Lupo e del Torrente Bicione. Che pur con scarsa portata di acque, compensa l’effetto “vista” con i colori delle rocce, affioranti sull’alto della cascata e nella sottostante pozza. Ricorda un po’ il fatto “Deosella”, la storia della “Canzone di Marinella” del compianto Fabrizio De Andrè.Le forti e calde tinte “ruggine” del minerale di ferro e “blu primario cyan” dello zolfo, presenti sulle rocce, contornate dal verde intenso degli abbondanti muschi completano un quadro in tecnicolor. Ovunque a strapiombo, nei ritagli scenici rocciosi della cascata, si affacciano felci, capelvenere e piccoli arbusti riparali. Non c’è alcun dubbio che qualsiasi pittore impressionista non sarebbe in grado di dipingere e superare, con la propria arte, scorci così belli, dispensati da Natura con estrema naturalezza, ove anche tutto, in un disordine cosmico, appare immagine cromatica paradisiaca.Sarà attendibile la mia supposizione che il Bernini, sul luogo per volere di papa Clemente X Altieri, abbia tratto spunto da questa “modesta” ed umile cascatella, per progettare la Fontana del Leone in Monteranno e quella di Trevi in Roma?Proseguiremo oltre per il sentiero natura il cui fascino sconfinato è così grande come immenso è il suo meraviglioso dono. Ed ovunque, ove il torrente va a serpeggiare a valle intersecando il nostro cammino, opportunamente sistemati, quasi compaiono dal nulla “precedente”, simpatici ponticelli in legno. Ci permettono, questi caldi strumenti, di superare agevolmente i graziosi greti. Il sentiero procede addossato sulla sinistra del canyon dell’alta parete di tufo, ricoperto da un tappeto di foglie d’acero, ricco di colori rosso e giallo fulvo, in un festival di ocre e terre senesi. Mentre accidentalmente dagli elevati e frondosi alberi filtrano raggi di sole, lasciando innalzare, lentamente, passo dopo passo, piccole nuvole di vapore ed un intenso profumo di sottobosco, micelio di sconosciuti e misteriosi funghi. Folletti, fate, gnomi ed elfi nascosti, attenti guardiani del loro mondo, ovunque ci riconoscono, ed a loro compiacendo, ci accompagnano.A tratti ci si alza dal greto del Bicione, che si lascia piacevolmente ora appena intravedere, ora osservare con le sue ridenti cascatelle variopinte. Mentre alcuni enormi blocchi di tufo scivolati dall’alta costa, interdicono il passaggio. Autentiche forche caudine che ci costringono a chinarci al loro cospetto. Poi ancora avanti grotte, naturali o scavate dall’uomo, un tempo relativamente recente, per graffiare e predare minerale dalle viscere della terra. Mentre un intenso, pungente acre odore di zolfo sparso nell’aria, ci preannuncia che stiamo per uscire, con rammarico, dal bosco. Passando dal paradiso all’inferno! Giunti all’aria aperta, avanti un bianco e denso paesaggio lunare, spettrale, ci accolgono tondi ciottoloni grossi anche due o tre volte un pallone di calcio, deposti in un immenso greto fluviale. Siamo or ora penetrati nel regno di Manturna o Mania etrusca, regina degli inferi, che ha conferito il toponimo al luogo, a Mantova, ed al Parco di Manturanum..Rappresentò quella divinità, molto più tardi, la Dite dei Romani, che dette spunto a Dante per dare nome alla città infernale ove ha sede il Sesto Girone dell’inferno, abitata dagli eretici (epicurei): Epicuro, Farinata degli Uberti, Cavalcante dei Cavalcanti, Papa Anastasio, per citare i più noti e maggiorenti ospiti.E’ qui che le manifestazioni del vulcanesimo si fanno più presenti ed è qui che gli etruschi ritenevano più breve la strada per raggiungere gli inferi, che avrebbero percorso un dì per ritrovarsi al cospetto dei loro cari defunti, congiungersi con loro, e con le divinità dell’oltretomba: Tukulca, Charun, Vanth, Le Lase, ragazze rappresentate nelle tombe di Tarquinia vestite con una minigonna retta da bretelle incrociate ed una torcia nelle mani. Quasi uno schizzo dello stilista Armani….Ma ho l’impressione che quelle divinità, dai nostri padri, non fossero ritenute infernali ed avverse ma amiche accompagnatrici nell’aldilà nel cammino per l’eternità.Per fare poi un pochino “mente locale”, l’odore di zolfo non giustificato, non è frequentemente associato, dall’immaginario comune, alla presenza di Satana? Cosa è cambiato allora nella concezione dell’aldilà, dopo il declino del popolo etrusco? Forse si è trattato soltanto di un passaggio forzoso delle divinità dell’oltretomba pagane nei ranghi delle divinità malvagie ed infernali del nostro “Credo” attuale!….. Ci porteremo poi verso la mofeta che ovunque, tutt’intorno a se, ha sparso secolare cenere bianca di zolfo, proprio sotto due caverne preistoriche. Qui il solito scherzo dell’acqua bollente ed ormai quasi nessuno più ci casca, un po’ come la storia del Maone di Angelo. Poi, dopo un breve pendio, il suggestivo cavone etrusco, che percorrerlo suscita impressioni difficilmente descrivibili. Ma c’è ancora il fascino delle rovine di Monterano. Le suggestive case dirute. I resti del campanile della Cattedrale di S.Maria. Le chiese di San Bonaventura e di San Rocco. Il Convento di S. Bonaventura, l’acquedotto medievale a doppie arcate, altre anonime emergenze. Il castello baronale degli Altieri con le sue due torri asimmetriche, la loggia a sei arcate. E per finire, la Fontana del Leone, dominata da una notevole statua del felino realizzata in pietra locale, mentre colpisce le alte rocce con una zampata, facendo sgorgare uno zampillo d’acqua, che andava a formare una suggestiva cascata d’acqua sui tormentati massi giù nel basso, finendo entro una vasca semicircolare per l’uso potabile dei Monteranesi.Chiara è l’allegoria del leone con il signore, il principe del luogo, che aveva finanziato l’opera, portando l’acqua da Monte Monastero sul colle siccitoso monteranese, facendogli abilmente superare, con apposite arcate abilmente “romanizzanti”, vari dislivelli.Dopo il frugale pranzo ed una gratuita distribuzione di dolci sguardi, biscotti prenatalizi e caffè, ripartiamo per il nostro alto corso del Mignone, per il bel Fosso del Rafanello, dalla sorgente fortemente acetosa, ingresso di ulteriori e future escursioni del Gruppo!Vanì, 05-11-2018 |