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RESOCONTO TIBURZIANO (… sulla Selva dell’Amore ...) (R. Vanì - 5 IV 2009) prologo Gruppo numeroso e compatto oggi presente, munito in particolare di nutrita rappresentanza femminile, che aveva equivocato sulla denominazione della Selva. Ma poi si è chiarito che si trattava di un trek nella Selva del Lamone e non già in quella dell’Amore, ormai chimerica destinazione per qualcuno di noi! Eppure dopo alcune “innocenti” vittime peraltro subito consenzienti, la passeggiata si è svolta “regolarmente”, con grande soddisfazione dei partecipanti … sentieri tra rocce laviche ricoperte di muschio, murce, lacioni, angoli fioriti, verdi alberi contorti sui cui rami ha piantato radici il viscum album, con il caratteristico rigonfiamento nell’intersezione con la pianta ospite. Poi rose “crepanti”, “crepate” o “crepande”, e pranzo sotto lo spento ma vigile vulcano di Semonte, tra circhi equestri... e poesie spinte! Pomeridiano transito nel villaggio etrusco di Rofalco, dopo un contorto sentiero da sogno. Poi la solita amica pioggerella primaverile, a cui ormai ci teniamo particolarmente, ed infine foto ad una meravigliosa cascata tenuta “nascosta”, il Salabrone. RISERVA NATURALE DELLA SELVA DEL LAMONE Geologia – toponomastica - storia – territorio - sentieri – flora e fauna – smarrimenti celebri. CENNI DI GEOLOGIA Circa gli aspetti geomorfologici della Selva, ardua si presenta, l’esposizione in sintesi, di un periodo di milioni di anni di evoluzione geologica della regione in esame, cosi eterogenea dal resto del territorio italiano. La crosta terrestre qui è stata, nel suo passato, particolarmente soggetta a fratture e tensioni, determinate dal lento, ma continuo innalzamento del rilievo Appenninico, sospinto dalla pressione che il continente africano, mosso alla deriva “dei continenti”, esercita sulla soglia terrestre dell’Europa. Il territorio del parco della riserva del Lamone, come del resto tutto l’Alto Lazio, oltre 110 milioni di anni fa (Era terziaria) era completamente ricoperto dal mare, il suo basso fondale era ricoperto da argille e sabbia. Soltanto nel Pleistocene, prima fase dell’Era Quaternaria, la sua struttura superficiale ha subito radicali cambiamenti che ha prodotto pressappoco l’attuale aspetto della Selva. Ma la principale artefice della sua tormentata superficie, seppur a breve distanza dal gran complesso vulcanico del Lago di Bolsena è, senz’altro, l’attività eruttiva del “cono” di Latera, e di un centinaio di piccoli altri crateri, esplosi a catena qua e la, che sono stati individuati nella zona, tra cui annotiamo in particolare, al centro del Parco, quello di “Semonte”. Tutta l’area, sconvolta da intensi movimenti tellurici, che hanno prodotto numerose fratture della crosta basaltica, ha permesso a masse laviche sotterranee di risalire e sospingere gas vulcanico verso la superficie, che fuoriuscendo ad elevata pressione dalle crepe, formatesi a macchia di leopardo, ha espulso porzioni di roccia lavica solidificata. L’accumulo di queste scorie laviche (murce), lasciano supporre un’attività temporanea di ciascuna frattura. Il risultato finale è ciò che oggi sorprendentemente si presenta, immutato, sotto i nostri occhi, un territorio di 2000 ha circa, letteralmente ricoperto da cumuli di rocce sconvolte. Una varia e caparbia vegetazione che ha piantato radici vari metri sotto colonizzando tutta l’area. Due corsi d’acqua, a nord il fosso del Crognoleto, ed a sud, il torrente Olpeta, emissario quest’ultimo del Lago di Mezzano. Geotipi presenti nel Parco: · Migliaia di murce che si elevano entro il territorio, tra cui spiccano la murcia strompia, quelle al “lupo”, “bianca”, “cava”, “del prigioniero”, “del Diavolo”. · Un centinaio di depressioni tronco coniche (in particolare la Rosa crepante, la Pila al Sambuco, la Pila al Murcione, quella dell’Oro etc.). Residui di minuscoli vulcani o depressioni createsi per collassamento di rocce superficiali in cavità sotterranee. · Aspetti particolari quali i lacioni, stagni occupanti cavità più o meno profonde, tra le scomposte rocce vulcaniche, (Lacione di Ronillo, Lacione Lavena, Lacione della Mignattara, Lacione di Roggio Farmiano, Lacione di Roseto, Le Lacioncelle). In questi accumuli d’acqua prosperano piante, avifauna ed insetti altrove scomparsi o non presenti. · La Cava all’Inferno. Luogo particolarmente impervio, ove si presenta una “gola profonda” di alcuni metri che si dipana per varie ramificazioni per circa due chilometri. Presumibile condotto lavico a cui è crollata la parte superiore, ove si aprono anfratti, articolate grotte, grossi massi entro le pareti levigate di solida lava. Ed ovunque vegetazione adattata a sopravvivere con scarso “umus”, sintetizzatrice in un ambiente ostile, ad umidità costante. Ed è, questo luogo, giustamente ricompreso negli itinerari non segnalati dall’Ente Parco, per evitarne all’incauto trekkista l’elevata difficoltà. · C’è poi la buca di Giovanni Rota, lungo il percorso di Semonte. Si presenta come un pozzo di tre metri di diametro, profondo una decina di metri, luogo semisconosciuto, mai sufficientemente esplorato. · Ci sono ancora il Voltamacina, una grande murcia ove si ode il rumore dell’acqua che ci scorre sotto (un fiume sotterraneo?), il Fonno della Busciga, la Grotta della Busciga etc. · Ci saranno poi, sicuramente, ancora mille misteri sotto questa impenetrabile selva, luogo unico in Italia, e forse anche al mondo, ove una enorme quantità di rocce laviche dalle varie dimensioni, espulse, per un millennio circa, quarantamila anni fa, hanno ricoperto una vasta area, seppellendo di tutto, entro una “bara” di argilla e sabbia: mare e pesci, animali e foreste secolari, e forse anche qualche villaggio preistorico di cui noi non sapremo mai nulla. DELLA TOPONOMASTICA Parleremo del primo e più importante toponimo della Selva. Il termine “Lamone” sembra che questo derivi da “lavone”, ovvero spazio ricoperto da colate laviche: Ma la denominazione potrebbe anche attribuirsi ad Amon - Ra divinità dell’antico Egitto (a Roma associato a Giove “Ammone”), che in lingua egizia significa “nascosto”, proprio come la Selva del Lamone! · Il ROGGIO, piccola area di terreno seminativo, all’interno della Selva, faticosamente strappata alla sovrabbondanza di pietre, a prezzo di un durissimo lavoro. Questi luoghi sono così denominati dalla composizione della sillaba “ro”, che sta per “roggio” unita a nomi di cose o persone: “Roppozzo” ro-ggio del pozzo; e così di seguito “ro-falco”, “Robbiacio” · LA MURCIA. Termine che designa un ammasso, più o meno conico, particolarmente vistoso di pietre laviche. · LA POGGETTA. Luogo sopraelevato (ad esempio Pogetta delle Tavole, ove i boscaioli tagliavano traversine per le ferrovie). · I FONNI. Zone depresse, prive di pietre (Fonno di Bastiano, Fonno de li Scopeti etc.). · LE BUCHE, piccole porzioni di terreno prive di boscaglia, circondate da murce: (Buche Bietole, Buche Mazzamaure, Buche Mecozze …). UN PO’ DI STORIA Da testi a cura della Riserva Naturale del Lamone Le prime attestazione dell’uomo nella Selva sono testimoniate da industrie litiche di superficie del Paleolitico medio, rinvenute nelle località di Ropozzo e Cavicchione. Poi è la volta della cultura del “Rinaldone”, che ha lasciato nel Lamone e nei suoi immediati dintorni molte testimonianze, tra cui importanti necropoli, caratterizzate da tombe cosiddette “a forno e a grotticella”, come quelle del Palombaro, Gottimo, Pantalla, Valle della Chiesa, Saltarello e Naviglione. E’ probabilmente questo, il periodo in cui si sviluppa una forma di insediamento diffuso che interessa l’intero Lamone. Una strategia insediamentale che si protrae per tutta l’età del Bronzo con villaggi, cinti di muraglioni difensivi, costituiti da capanne di legno con coperture in frasche, edificate su bassi muretti di pietra. Intorno al X secolo si assiste all’abbandono dei siti e ad una dinamica demografica di concentrazione delle genti verso pochi insediamenti principali (inurbamento). Un processo che darà vita ai grandi centri proto urbani e urbani di età etrusco – arcaica, nel caso del nostro territorio, Vulci. Per il periodo etrusco resti di frequentazione sono riconoscibili, per il VI secolo a. C., nelle aree limitrofe alla Selva (Naviglione); mentre nella seconda metà nel IV secolo a. C. venne edificato l’abitato fortificato di Rofalco, con il suo potente sistema difensivo costituito da un aggere e muraglione di cinta in opera a secco. Nel periodo romano il territorio del Lamone viene quasi del tutto abbandonato, mentre nelle pianure circostanti si diffonde il latifondo. Dopo la caduta dell’impero romano il Lamone venne ricompresso nel territorio della Tuscia Langobardorum. Una necropoli longobarda è stata indagata in località Campo del Nocio, nei pressi di Valderico. Durante il primo Medioevo, si assiste, in particolare nei pressi delle preesistenti fattorie romane alla fondazione di “Castra” fortificati. In particolare l’incastellamento interessa la zona di Valderico, Casali di San Pantaleo, Prato di Fra Bulino, Santa Maria di Sala e Sorgenti della Nova. Tutti questi siti risultano abbandonati nella prima metà del XIII secolo, quando la signoria del territorio passò ai Farnese. Qualcosa sul brigantaggio Per la sua caratteristica di selva intricata ed impervia, ricca di nascondigli e zone di confine, oggi di Regione, un tempo di Stati diversi, il Lamone per lungo tempo ha offerto rifugio a briganti, contrabbandieri ed altri disperati. Soprattutto nella seconda metà dell’Ottocento, la Selva del Lamone, divenne sede di bande ben organizzate, che taglieggiavano “discretamente” i proprietari terrieri, garantendo loro la sottomissione dei lavoratori. Chi stava alla macchia non era certo un chierichetto, talvolta autore di delitti sanguinari e feroci, spesso contro i “traditori” od altri banditi per la difesa del “territorio”. Moltissimi sono i personaggi che nei secoli hanno lasciato il ricordo brutale delle loro gesta: Saltamacchione, Federici, Biscarini, Pastorini, Marintacca. Ma non mancavano allora omicidi eccellenti, anche nel lontano passato si ricordano fatti di sangue, come quello clamoroso perpetrato da un nobile dotato di immunità, il conte Orso Orsini di Pitigliano che, nel Lamone, per gelosia, uccise, nell’inverno del 1573 Galeazzo Farnese. Ma le più famose doppiette del brigantaggio locale, a noi più vicine …, furono senz’altro Domenico Biagini, Luciano Fioravanti, David Biscarini, Basili (Basiletto) e Domenico Tiburzi. Quest’ultimo, in particolare, con una certa “modernità” seppe creare un sistema di taglieggiamento dalle vere e proprie caratteristiche mafiose, calcolato sulle effettive disponibilità economiche dei taglieggiati, e con piena garanzia di protezione. SENTIERI ESCURSIONISTICI TRACCIATI 1. Sentiero dei briganti o Lunghezza Km. 10,5. Tempo di percorrenza 1 ora e 30 minuti. Segnaletica stradale con indicazione “Sentiero dei Briganti”. Difficoltà bassa. 2. Sentiero delle aree faunistiche o Itinerario 1- Area faunistica del capriolo – lunghezza Km. 1.9. Tempo di percorrenza 1 ora e trenta minuti. Segnaletica di legno e segnali CAI bianco rossi con n. 1.1) – difficoltà bassa o Itinerario 2 – Complesso archeologico di Valderico. Lunghezza Km. 1.7. Tempo di percorrenza i ora. Segnaletica in legno e segnali CAI bianco rossi con numero 1.2. Difficoltà medio bassa. o Itinerario 3 – Fosso la Faggeta e area di ripopolamento del gambero di fiume. Lunghezza Km. 2. Tempo di percorrenza 40 minuti. Segnaletica di legno e segnali CAI bianco rossi con numero 1.3. Difficoltà bassa. 3. Sentiero dei Lacioni o Lunghezza Km. 10,5. Tempo di percorrenza 1 ora e 30 minuti. Segnaletica stradale con indicazione “Sentiero dei Briganti”. Difficoltà bassa. 4. Sentiero di Rosacrepante o Lunghezza 7 Km., tempo di percorrenza 1 ora e 50 minuti. Segnaletica CAI bianco rossa con numero 4. Difficoltà medio alta. 5. Sentiero S.Anna – Rofalco o Lunghezza Km. 5,5. Tempo di percorrenza 1 ora e 30 minuti, Segnaletica CAI bianco rossa con numero 5. Difficoltà bassa. 6. Sentiero della Strompia o Lunghezza 2,3 Km. Tempo di percorrenza 1 ora e 30 minuti. Segnaletica CAI bianco rossa con numero 6. Difficoltà: media. 7. Sentiero dei Crateri o Lunghezza 2 Km. Tempo di percorrenza 1 ora e 45 minuti. Segnaletica CAI bianco rossa con numero 7. Difficoltà medio alta 8. Sentiero della Cascata del Salabrone o Lunghezza 0,6 Km. Tempo di percorrenza 10 minuti. Segnaletica del CAI bianco rossa con numero 8. Difficoltà bassa. 9. Sentiero della Nova o Lunghezza 1,4 Km. Tempo di percorrenza 1 ora. Segnaletica CAI bianco rossa con numero 9. Difficoltà bassa 10. Sentiero dell’Olpeta o Lunghezza 0,5 Km. Tempo di percorrenza 25 minuti. Segnaletica CAI bianco rossa con numero 10 . Difficoltà medio alta. |
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