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  • - DA MANTURNA A MONTERANO

  • DA MANTURNA A MONTERANO

    APPUNTI DI STORIA LOCALE

    (R. Vanì - 06 II 2008)

    “CAMMINARE INSIEME”: SECONDA USCITA –

    Il 6 febbraio 2008, il Centro Diurno della ASL RM F, l’Istituto S.Cecilia e l’Istituto Calamatta hanno effettuato attività di trekking presso il parco naturale di Monterano, sotto la guida di Ivano Romiti. Il luogo, estremamente interessante dal punto di vista naturalistico, paesaggistico e storico, ha rapito fin da subito i partecipanti che hanno potuto ammirare le cascate della Diosilla sul torrente Bicione, la sorgente delle acque sulfuree, le rovine dell’antica Monterano e le bellezze naturali (le tagliate) del luogo.

    La camminata è risultata accessibile al gruppo e la giornata soleggiata ha permesso a tutti di godere in pieno delle meraviglie del parco che nessuno aveva mai visitato, nonostante la vicinanza dalla nostra città.
    Il gruppo, composto da 20 persone, grazie all’esperienza della nostra guida, che ha dosato i tempi di marcia e individuato percorsi idonei ai partecipanti, ha effettuato il tragitto previsto senza difficoltà, superando paure ed incertezze, dimostrando di aver acquisito capacità e padronanza delle regole del trekking e rispetto dell’ambiente visitato.

    A Ivano, che dedica a noi il suo tempo e le sue energie, va tutta la nostra gratitudine per queste esperienze arricchenti sia dal punto di vista naturalistico che umano che lasciano in ognuno di noi un ricordo speciale.

    Piera Salomone

    RISERVA NATURALE DI MONTERANO

    Di ettari 1.085, costituito con Legge Regionale, fortemente voluto da sapienti, saggi abitanti di Canale, che hanno così lasciato in eredità questo meraviglioso parco naturalistico ed archeologico, riscontrabile anche in altre località della nostra bella indescrivibile isola, la Tuscia. Il territorio si dipana e presenta così classico, come già altrove, quasi ormai da non destare più meraviglia.
    L’insediamento dell’uomo, così studiato, è posto su una vera e propria penisola tufacea inaccessibile, delimitata da forre scavate dall’incessante e millenaria opera corrosiva fluviale.
    E’ così che si pone sotto il nostro sguardo la perla di questo territorio: Monterano!

    Diosilla, “Dies … illa”, “Dies … Ira”

    Parcheggiate le auto nell’apposita “area-sosta”, scendiamo, ben equipaggiati, il “sentiero natura” verso la graziosa cascata della Diosilla. Porta questa, il nome di una ragazza “Diesella”, che cadde, non sappiamo con quale esito, nel canale costruito a fianco del torrente Bicione, per il deflusso delle acque derivanti dalla riduzione dello zolfo dalle rocce circostanti. Come di consueto giunti sotto la Diosilla esprimiamo un desiderio, guardandoci bene dal confidarlo, per renderlo così più esaudibile. La piccola cascata, penso, nella sua forma, può aver dato sicuramente spunto ad architetti, per la progettazione di fontane ornamentali.

    Proseguiamo il “sentiero natura”, così ordinato, raro esempio di giardino naturale, con la sua vegetazione spontanea, che nasce e muore, secondo cicli e leggi naturali. Così rigogliosi sintetizzano il sottosuolo la felce, tra cui la rarissima “osmunda regalis”, il pungitopo, l’agrifoglio ed altri. Ovunque presenti su rocce e tronchi di alberi cedui, in piedi o valorosamente caduti sul sentiero, a presentare le quinte di un inusitato teatro, muschi, licheni, funghi di ogni tipo, tutti insieme a sfruttare la costante umidità del particolare microclima favorevole alla vita! Scendiamo serpeggiando attorno al Bicione, respirando delicatamente, senza far rumore, per non turbare il silenzio di questo incantevole mondo, per evitare che, imprevedibilmente possa dissolversi, in un attimo, nel nulla! Poi ci caliamo tra rocce … passiamo ponticelli lignei … ora è il fiume che serpeggia attorno a noi… risaliamo la china riscendendo di nuovo su gradini di legno ed infine, un bagliore che attenua gli accenti chiaroscurali del sottofondo del bosco ci accompagna all’esterno.
    E’ qui la luce riflessa da azzurrognoli massi solfurei, ove l’uomo, preistorico e medievale, ha graffiato ed .immerso le sue mani nella nuda terra per ricavarne zolfo, ovunque presente tra rocce vulcaniche, entro grotte, diluito nel torrente diffuso nell’aria che respiriamo. E’ questa la dimora di “Mantura”, secondo gli etruschi, la regina del luogo, riconoscibile dai suoi inconfondibili acri effluvi. Qui le viscere della terra si avvertono molto vicine! La Dea, regina degli inferi, una sorta di Dite romana, veniva associata ai fenomeni del vulcanesimo e, secondo un principio consolidato da ogni religione indoeuropea, l’oltretomba veniva posta nelle cavità della terra, con la sua divinità. “Thuruche Larth Mantureie” … sono stato donato da Larth di Mantura, si legge nella frase dedicatoria posta su un pithos rinvenuto nel parco di Marturanum, ove il vaso, soggetto del discorso, secondo forme sintattiche etrusche, racconta la sua storia attribuendo al luogo la sua denominazione.

    Usciamo dal bosco, sotto la luce del sole sempre più accecante, ora il disco solare ha quasi raggiunto lo Zenit. Traversiamo lo stradone del Parco per portarci sotto alcune caverne un tempo abitate dall’uomo preistorico (neolitico, eneolitico, delle facies del bronzo e del periodo del ferro) proprio sotto queste, sono ubicate alcune sorgenti solforose di acqua fredda, sospinte in superficie da mofete: è qui che si notano ingenti depositi di calcio e zolfo.
    Torniamo sulla strada per visitare una casa appenninica, ricostruita dall’Ente Parco, quasi perfettamente, a scopo didattico. Il tetto ed i lati, straminei, sono ricoperti da fascine di ginestra legate insieme. Riprende, questa capanna, abitazioni utilizzate, da settembre a maggio, dalle antiche popolazioni montane transumanti che discendevano dall’Appennino al mare, (Umbri , Marchigiani, Abruzzesi), che nel periodo invernale arrivavano nelle verdi valli tirreniche, con migliaia di pecore al seguito, per tornare poi sui monti in primavera, allo sciogliersi delle ultime nevi. Affrontiamo ora un sentiero in leggera salita, che ci porta entro una “tagliata” etrusca dalle pareti alte anche dieci metri, ove non penetrano i raggi del sole. Davvero suggestiva, è seconda soltanto alla Cava Buia di Norchia e ad un’altra presso Pitigliano. Su in alto si intravede l’uscita, un piccolo ferro di cavallo illuminato dalla luce del sole. Finalmente fuori per goderci uno spettacolare panorama sulla Valle del Bicione, la Greppa dei Falchi, con i suggestivi ingressi delle caverne preistoriche mai esplorate dall’uomo. E’ qui che, generalmente, racconto la storia della distruzione della città di Monteranno, con l’ausilio del naturale pathos che sprigiona il luogo.

    DISTRUZIONE DELLA CITTA’ DI MONTERANO

    IL TRISTE E PRETESTUOSO PERCHE’

    Alla fine dell’700 anche in Italia, come nel resto d’Europa, si diffusero idee di libertà, eguaglianza e fraternità. Sentimenti già nati in Francia, che avevano mosso la popolazione alla nota rivoluzione del 1789, con tutte quelle conseguenze nefande culminanti nelle esecuzioni capitali dei loro regnanti.

    Intorno all’800, anzi nel 1798 per l’esattezza, cade il potere temporale della Chiesa sulle regioni Lazio, Marche ed Umbria. Da noi viene istituita la Repubblica Romana sorretta dalla Francia, che era tutta sospinta ad esportare questa forma di governo, però già istituita in passato dai romani! Ma da noi la Repubblica durerà pochi anni appena. In realtà i nostri cugini francesi non erano guidati da sentimenti di eguaglianza e fraternità nei confronti del prossimo. Una volta destituiti i secolari regnanti, impostati i primi rudimenti di repubblica, l’albero della libertà (vedi) poi altri principi e cavolate varie che sapevano ben raccontare ed imporre, hanno cominciato a far man bassa di opere d’arte nel nostro ricco territorio, istituendo addirittura un apposito ministero per il trafugamento di opere d’arte. Inoltre pretendevano di essere mantenuti dalle popolazioni locali.

    In quel periodo Civitavecchia, racchiusa tra le sue mura, non era stata espugnata, pur stretta d’assedio per molti giorni dall’esercito francese (cfr. Le 82 giornate di Civitavecchia, del Dott. Carlo De Paolis). Tolfa ed Allumiere si erano alleate con questa ma, quando i Nostri si consegnarono volontariamente agli invasori, i Tolfetani e gli Allumieraschi subirono dolorose conseguenze e rappresaglie, colpevoli di aver difeso strenuamente i propri paesi. Furono infatti giustiziate, con l’inganno, tante persone delle due città collinari. I francesi si insediarono con la forza in Allumiere e Tolfa stabilendovi un presidio. Monterano invece era riuscita a sfuggire al dominio francese forse perché l’economia e la posizione strategica della cittadina non rientrava nelle mire di questo popolo. Ma nel 1799 avvenne, inaspettata ed improvvisa, la distruzione di quel paese ad opera delle truppe francesi e con un atto di violenza gratuita. I motivi, molto banali, ma pretestuosi, operati a mostrare il simbolo della forza e della determinazione dell’invasore, ebbero tuttavia come conseguenza triste la distruzione di un delizioso centro abitato le cui origini risalivano alla preistoria, la cui ultima sistemazione, voluta dagli Altieri, vantava edifici, chiese e fontane, progettate dal più grande ed insigne artefice del Barocco Italiano, Gianlorenzo Bernini.

    Veniamo ai fatti …

    Tolfa, reduce dalla cruenta insurrezione antifrancese, era alle prese con un fatto ordinario, di lieve importanza. Tornata la calma dopo la ribellione e la conseguente repressione ad opera dei francesi, gli agricoltori tolfetani non potendo macinare il grano, si recarono alla mola di Monteranno per l’insufficienza del proprio mulino a soddisfare le esigenze cittadine. I Monteranesi, memori delle stragi operate dai transalpini, impedirono ai tolfetani di “macinare” per evitare ogni possibile conseguenza. Ma il comandante francese di stanza in Tolfa, informato del fatto, prese questo rifiuto, come un atto rivolto contro il suo popolo. I Tolfetani si ripresentarono accompagnati da una nutrita scorta militare. Alla vista dei soldati, gli abitanti di Monterano, presi dalla paura, raccolsero quanto poterono ed abbandonarono il paese. Le truppe francesi, per una esagerata rappresaglia e per dare dimostrazione di forza, saccheggiarono, incendiarono e distrussero con l’artiglieria l’intera città, lasciando al suo posto rovine e macerie fumanti. Gli abitanti del luogo si trasferirono altrove, ricostruendo le proprie case ove oggi si trova la cittadina di Canale. Soltanto due frati, del convento di San Bonaventura rimasero nel luogo, chiedendo in seguito, più volte, l’intervento dei proprietari, gli Altieri, che risposero sempre negativamente ad ogni richiesta di restauro.

    TORNIAMO ALLA NS ESCURSIONE

    Riprendiamo il nostro cammino, passando sotto l’acquedotto romano, scorgendo di lontano la panoramica sulle rovine del Castello, della Chiesa di San Rocco e del campanile della Cattedrale di Santa Maria. Dobbiamo ora percorrere un altro bel sentiero che una volta serviva, ai Monteranesi, per raggiungere rapidamente il Fiume Mignone.

    Giungiamo sul fianco est della città e, affacciandoci da una bella terrazza, godiamo della vista di un tratto del Mignone, giù nella valle, del corso medio del Fiume, ove è ubicata la famosa mola, origine della discordia (Mola vecchia). Usciamo finalmente sulla grande Piazza della città, ove ci attende una vera giornata di primavera. Ci portiamo in fondo verso nord-ovest ove è visibile la fontana ottagonale e la chiesa di San Bonaventura entrambe realizzate su progetto del Bernini (1677-1679). Molto suggestive. Qualcuno di noi, pur non avendole mai viste, le ricorda in qualche brano del film “Il Marchese del Grillo” del compianto nostro caro Albertone.

    Consumiamo qui il nostro pranzo al sacco sostando, poco dopo, per una gradevole siesta, baciati da caldi raggi del sole su un verde ed immenso prato, tutti intorno alla fontana, ove fanno già capolino bianche primule.

    La Chiesa ed il Convento sono protetti da una recinzione ormai pluriennale, per consentire lavori di restauro degni della più lenta “fabbrica di S.Pietro”. Visitiamo quindi, da abusivi, il complesso scavalcando una staccionata. La facciata del tempio, per quello che rimane, è veramente pregevole ed elegante, presenta quattro pilastri dorici che sorreggono il frontone triangolare, mentre due campanili si innalzano ai lati di questa, il tutto conferisce, al colpo d’occhio un immagine di fuga e movimento. All’interno, entro la sua pianta, a croce greca, è cresciuto un albero di fico e c’è da giurare, a giudicare dalla dimensione del suo fusto, che è lì da un secolo e passa, seminato dal guano di qualche uccelletto. Ciò che meraviglia? Gli addetti della Soprintendenza ripulendo il pavimento della Chiesa, hanno rispettato la pianta e la particolare immagine, che ormai deve aver fatto il giro del mondo, lasciandogli tutt’intorno un aiuola di terreno sopraelevata. Non troviamo tracce della cripta sottostante, la cui gradinata di accesso sarà stata preclusa per scongiurare atti di vandalismo e sciacallaggio.

    Torniamo sul prato, una volta piazza pubblica veramente estesa, per raggiungere l’acropoli del paese, comprendente il palazzo ducale, la cattedrale di S.Maria, la Chiesa di San Rocco ed altre abitazioni gentilizie. Breve visita alla chiesetta di S.Rocco, qui edificata per ringraziare il santo per una peste scongiurata, e si sa, il Santo guariva l’uomo dalla peste e proteggeva i cani.

    Ci portiamo poi avanti il Palazzo degli Altieri, per mirarne la facciata: le due torri, una circolare e l’altra quadrata, la fontana del leone e sopra questa le sei arcate a riprendere le strutture del retrostante acquedotto, realizzato però su spunti architettonici romani. E’ forse questa immagine d’insieme che denunzia chiaramente l’intervento di un grande artista, che chiamato a realizzare un progetto su presumibili preesistenze, riesce a riunire, coniugare elementi di per sé alieni. Dispone infatti in basso di rocce sedimentarie informi che sorreggono la struttura del castello, e lui disegna un progetto che prevede piccoli interventi su queste, tale da conferirgli un’immagine di un picco roccioso aderente al castello a semicerchio, stondato in alto, su cui è posto un leone in pietra, che nell’atto di scuotere la roccia con una zampa, fa sgorgare un’abbondante cascata d’acqua che precipite attraverso gli scogli va a raccogliersi nella vasca sottostante, bordata da grandi massi. L’effetto scenico doveva essere di notevole suggestione! E l’esterno del Palazzo poi, realizzato a finto rudere (pietre a vista) conferisce più robustezza all’intera struttura.

    Qui una foto di rito per il Gruppo e poi, i volontari, provano ad espugnare il Castello, anche questo chiuso al pubblico.

    Saltiamo la recinzione muraria nel punto in cui la pendenza del terreno si avvicina di più alla sommità. Un singolare ed incomprensibile cartello posto dalla Soprintendenza ci indica che il muro che stiamo scavalcando non è altri che un muro! Entriamo nel grazioso giardino pensile ove immaginiamo la duchessa con le sue dame di corte a conversare con lo sguardo rivolto verso il suggestivo panorama che spazia dai monti della Tolfa al Fontanile della Gatta Pelosa, da Monte Monastero a Monte Virginio. Entriamo nel vecchio maniero per la porta di servizio e visitiamo dapprima le cucine del complesso, ove nel forno superstite immaginiamo la cottura di un cinghiale infilzato in uno spiedo, i camerieri con il grembiule bianco. Passiamo per la enorme sala da pranzo ove doveva esserci un tavolo lungo, in noce, e noi, con gli occhi socchiusi, lo vediamo ricoperto da una tovaglia di pizzo bianco, sopra un servito di piatti di gran classe, stoviglie in argento ed ovunque cristallerie splendenti, sedie in velluto rosso, i signori di casa e gli invitati, sul soffitto tre lampadari a petrolio in bronzo e vetro illuminano a giorno il salone. Al piano secondo, giudicando dalle altezze dei soffitti, erano poste le camere ed un loggiato comprendente tutto il lato di mezzogiorno che guardava in direzione del mare per 180°. Sulla parte di ponente una bella vista su Tolfa, sulla Rocca dei Frangipane, sulla Cattedrale di S. Maria, verso l’abitato di Monteranno e su un presumibile incantevole tramonto. All’ultimo piano erano poste le mansarde.

    Usciti dal Castello, visitate le imponenti mura castellane, imbocchiamo la strada che sfiora i resti del campanile della Cattedrale di S. Maria, e che da mezzogiorno scende a valle attraverso una singolare porta scea. Ancora al suo posto, l’arco a tutto sesto mantiene le modanature in pietra, della volta mentre, poco dopo la porta, un bel selciato in basoli azzurri, levigati dalle ruote dei carri, fa bella mostra di se. Tutta intorno la città è cinta di grotte ed abitazioni etrusche, utilizzate negli anni per ricovero bestiame ed attrezzi.

    Ma sono ormai sopraggiunte le ore 15,00 e dobbiamo necessariamente rientrare per rispettare l’appuntamento dato agli autisti dei nostri mezzi.

    Un caldo arrivederci … a presto, a questo luogo magico, che non cessa mai di stupirmi e commuovermi.

    Vanì 06/02/08



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