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Civitavecchia







28/01/2024 - PARCO ARCHEOLOGICO DI VULCI



Informazioni sull'uscita

Data: 28/01/2024

Difficoltà:

- Escursione facile

Distanza in auto: 45 km (a/r)

Lunghezza percorso a piedi: 4 km

Note:

         

PARCO ARCHEOLOGICO DI VULCI
Distanza in auto: 45
Lunghezza percorso a piedi: 4
Punto di ritrovo: Parcheggio antistante Centro Sportivo Sport Garden Zona Faro Civitavecchia
Pranzo: al sacco
Ora di rientro: a termine escursione
Difficoltà:
   - Escursione facile
 

ATTENZIONE IL LUOGO DI RITROVO PARTENZA E’ STATO  SPOSTATO. NON PIU’ PRESSO IL PARCHEGGIO DEL TRIBUNALE!

NUOVO LUOGO … LARGO ANTISTANTE LA PISCINA DELLO SPORT GARDEN

CIVITAVECCHIA  – ZONA SAN LIBORIO

LARGO G. DE DOMINICIS SENZA NUMERO  CIVICO

 

PARCO ARCHEOLOGICO E NATURALISTICO DI VULCI

ESCURSIONE

Domenica 28 gennaio 2024

 

Partenza da Civitavecchia – ore  8.30 ritrovo ore 8.15  - da Largo G. De Dominicis snc, ove è posto il Centro Sportivo (Piscine)

SPORT GARDEN

 

Escursione facile di c.a. 4 Km. No guadi, presente qualche salita.

Percorso auto ... da Largo G. De Dominicis snc - Zona Faro - si raggiunge l'A12 che si percorre in direzione Grosseto. Si supera Montalto di Castro ed al bivio ove è posto l'Hotel Vulci si gira a destra per la provinciale 105. Che si percorre per 13 km. Giunti in prossimità del luogo si gira a destra e si raggiunge il piazzale ingresso Parco per staccare i biglietti di ingresso.

 

Biglietti di ingresso

Euro 10 pers.

Ragazzi 7 – 13 anni euro 6

Famiglie max due adulti – 3 under 13  ... Euro 20

INGRESSO GRATUITO

Bambini 0 – 6 anni

Disabili

 

 

 

UN PO’ DI STORIA

Lo scrittore inglese George Dennis (1814-1898), dimenticò d'un colpo tutti i disagi del viaggio a cavallo, quando nel 1842 giunto al castello della Badia vide il ponte, la fortezza medievale, la torre rosso scura protendersi verso il cielo azzurro. Quando udì il sordo scrosciare delle acque del Fiora entro il suo letto angusto e profondo. Quando vide, verso sud-ovest i ruderi della città emergere da una variopinta campagna tra campi di fieno giallo ocra e fiori spontanei. E non si preoccupò più neanche tanto della malaria, quella più feroce, che regnava in quella landa arida, abbandonata, ormai unico regno delle vacche maremmane con le corna ampie a mezza luna.

ll latifondo, dopo che il Console Tito Coruncario, conquistò la Lucumonia (280 a.C.), deportati i maggiorenti in Roma, viene posto sotto amministrazione dei “Quattuorviri Iure Dicundo”. Eppure il nome della etrusca Velk Velka, trasformatosi pian piano in Volcia, Bulcia, giunge a noi con il termine “Voce”. Pian di Voce fu chiamato l'altipiano ove sorgeva la lucumonia. E “Voce” qualcosa ricorda nella radice la sua antica denominazione, quando i suoi fasti la ponevano, nel mondo etrusco, come la più vasta, temibile ed importante città/regione Rasenna.

Il suo territorio si estendeva dal Monte Amiata fino a confinare con quello della Lucumonia di Chiusi, entro la sponda destra orografica del Fiume Paglia. Poi giù fino ad Orvieto ed al Lago di Bolsena. Delimitato a sud, dall'area tarquiniese, dal fiume Marta, ad ovest comprendeva il Tirreno antistante fino alle isole dell'arcipelago toscano di Giannutri, Giglio, Montecristo ed il promontorio dell'Argentario. L'acropoli, racchiusa entro una elevata cinta muraria, era vasta circa 140 ettari. Cinque porte urbiche ne consentivano l'accesso, mentre la principale, quella ovest era protetta da un rivellino - “antesignano” di quelli poi realizzati, nel corso del medioevo dalle più sofisticate e fortificate città europee - che non permetteva agli arieti romani di sfondare le robuste porte lignee. Ma sicuramente i romani sottomisero Vulci con ben altri mezzi ! Distante circa 15 chilometri dal mare, disponeva di un notevole porto, posto sulla foce del suo fiume, il Marta “, conosciuto oggi come le “Murelle di Montalto” ma ai suoi tempi chiamato Regisvillae (villa reale?). Mentre sotto la porta sud-est un imponente approdo fluviale sul Fiora, entro cui erano attivi empori locali, greci e di altre nazionalità, consentiva alla città un diretto commercio con l'Italia meridionale ed insulare e con tutto il bacino del mediterraneo. Ma non era tutto, in direzione “est” “nord-est”, era ben collegata, attraverso vie di comunicazione, con il bacino del Tevere, che le permetteva scambi commerciali con il nord Italia, il Nord Europa, l'Adriatico ed i paesi dell'est. Per queste sue particolarità in Vulci, abili ceramisti greci si erano trasferiti, lasciando Atene, Corinto, ed altri centri ellenici, per aprire qui laboratori di ceramica che, in seguito, crearono validi professionisti locali. Tutti questi buoni motivi devono aver suscitato le invidie e mire di Roma. Eppure Vulci non era poi stata tanto nemica di Roma in passato. Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico, quarto imperatore romano, insigne storico di studi etruschi ed altro, ricordava al suo popolo che il 6° re di Roma, Servio Tullio, non era altri che quel Macstarna, eroe Vulcente, che quando fu nominato re (578-535 a. C.) aveva impostato innovative linee politiche nella società romana. Eppure Macstarna proveniva da una classe servile, ma il suo coraggio, il suo valore in guerra aveva fatto si che i suoi prìncipi vulcenti Aulio e Celio Vibenna, lo avessero eletto loro generale.

Ma la certezza che il 6° re di Roma, Servio Tullio, fosse identificato nell'eroe vulcente Macstarna ci viene fornita da alcuni affreschi della tomba François, scoperta nel 1857 c.a. soltanto.

Nell'undicesimo secolo d. C. Vulci scompare dalla faccia della terra. Le ultime fasi di vita della lucumonia risalgono al X secolo d. C., dopo un invasione di Saraceni che ebbe, come conseguenza, una sanguinosa battaglia in cui vincitori e vinti si distrussero a vicenda. Poi di Vulci non si saprà più nulla, se ne perdono tracce storiche ed ubicazione. Sedimenti travertinosi nascondono per millenni le tracce della città su tutto il territorio. Poi nel 1700, dalle necropoli, vengono alla luce numerose tombe villanoviane affioranti e, nel 1800, un contadino, arando i campi, sollevò con l'aratro una grossa pietra sotto cui era una enorme tomba ricca della sua originaria stipe votiva. Inizia così la caccia al tesoro. La qualità e quantità dei reperti venuti alla luce la “dicono” lunga e permettono di identificare quel “Pian di Voce” nell'antica città di Vulci. Gli scavi clandestini dei “tombaroli” accorsi da ogni dove si susseguono, a cui si aggiungono quelli di Luciano Bonaparte, fratello dell'imperatore, che risollevano le sue scarse “finanze” con la vendita dei reperti archeologici. Il Bonaparte fu nominato dal papa principe di Canino, ricevendo in feudo, tutto quel territorio. Si racconta che il principe giunse al punto di far distruggere copie di vasi di squisita fattura, pur di incrementare il valore di un solo esemplare. Si determina così una dispersione del patrimonio archeologico della località, che viene sparso dai mercati nei musei di tutto il mondo. I reperti vengono acquistati ignorandone la provenienza, il danno prodotto alla storia di Vulci risulta incommensurabile, ma in alcuni casi l'occhio esperto dell'archeologo identifica, ancora oggi, l'appartenenza degli oggetti alla lucumonia vulcente e ne stabilisce perfino la necropoli di provenienza.

Si pensi all'utilità degli indizi storici che emergono dagli scavi sistematici nelle necropoli, vere conferme storiche per gli studiosi. Ad esempio la certezza che l'eroe vulcente Aulio Vibenna fosse vissuto realmente, si ebbe col ritrovamento di una sua dedica, rilasciata al tempio di Apollo di Veio (Portonaccio) durante una visita!

Nel 1840, morti il Bonaparte e sua moglie, il feudo caninense passa ai principi Torlonia, questa importante famiglia italiana deve anche un po' della sua ricchezza agli scavi archeologici effettuati nel territorio Vulcente. I Torlonia incaricano per le ricerche archeologiche sul territorio, l'ing. fiorentino François e l'archeologo Noel des Vergesr. I due setacciando la necropoli di Cavalupo, si imbattono nella più ricca e significativa tomba che il mondo etrusco abbia mai partorito, ventisette metri di dromos, camere articolate, riccamente dipinte, stipe votiva adeguata (andata dispersa).

La presenza di un grosso leccio su un costone di roccia insospettì il François, l'albero aveva piantato le radici nel dromos di accesso della tomba. In quella parte dell'ipogeo composto da un vestibolo, che presumibilmente fu la prima tomba della Famiglia Vibenna, progenitrice di Vel Saties, signorotto vulcente, che fece prolungare ed ampliare la tomba di famiglia. L'importanza di questa tomba è posta negli affreschi, realizzati da insigni pittori, da ciò che essi rappresentano. Sono infatti qui dipinti, su un lato dell'ipogeo “Macstarna”, il futuro re di Roma “Servio Tullio”, proteso a conquistare il potere su Roma. A fianco delle immagini dei personaggi dipinti, alcune iscrizioni ne permettono l'identificazione. Macstarna, alias Servio Tullio, è rappresentato mentre libera dalle catene Caile Vipinas, prigioniero di nemici provenienti da Volsinii, Sovana e Falerii, tra cui anche Cneve Tarchunies (identificato nel 5° re di Roma Tarquinio Prisco), mentre un altro gruppo di eroi, guidati da Aule Vipinas, impegna un aspro e vittorioso combattimento. Dall'altro lato della tomba eroi omerici, appartenenti al mondo mitologico, tra cui spicca Achille nell'atto di colpire un troiano, mentre Aiace Telamonio ed Aiace Oileo conducono nuove vittime al fiero compagno. Ed è chiara l'analogia rappresentata nei dipinti: il popolo Vulcente domina i suoi nemici rivali (di Volsinii, di Sovana e di Falerii) per la conquista del trono di Roma, così come Achille, nel vendicare il suo amico Patroclo, sospinge l'esercito greco verso la vittoria sulla città di Troia. Il dominio dei vulcenti sulla città di Roma é attestato da varie cose, tra cui la denominazione del luogo ove fu trovato il teschio di Aulio Vibenna, il “Campidoglio”, derivante dall'unione delle parole “Caput Auli”. Il Celio, noto colle romano, dedicato da Macstarna all'amico Caele Vipinas.

IL PARCO DI VULCI

Il Parco archeologico di Vulci non dispone più degli affreschi della tomba François, questi fatti staccare dalla famiglia Torlonia prima dell'unificazione italiana, per trattati e compromessi, sono ormai di loro proprietà! E non sono neanche visitabili. Ma il Parco riserva sempre nuove sorprese. Ed ecco avanti la monumentale porta ovest etrusca, con rivellino, la ricostruzione di tombe alla “cappuccina”, di tombe a cassa, ove sono deposti scheletri in plastica, di cui uno con uno squarcio sul teschio, a significare il ferimento, mortale dall'alto, nel momento in cui l'uomo stava tentando di superare le imponenti mura. La ricostruzione della porta monumentale “romana”, dietro quella urbica etrusca, sulle cui strutture sono state applicate lastre in marmo originali. Il lungo e suggestivo decumano romano in tefrite, su cui si affacciano il tempio etrusco, la villa romana con criptoportico, il Mitreo, altri edifici di non chiara destinazione, il sacello di Ercole. Il decumano portato alla luce fino al fiume Fiora, appare in ottimo stato di conservazione. Alcune diramazioni di questo raggiungono il porto fluviale etrusco, altre oltrepassano il fiume oltre Ponte Rotto e proseguono sui colli circostanti. Il Porto anch'esso in ottimo stato di conservazione, le cui strutture scendono fin sotto il livello del Fiora. C'è poi avanti il sentiero naturalistico, che costeggia il Fiora, realizzato nel fitto bosco di macchia mediterranea. Ma sarebbe sufficiente scavare sotto il livello di calpestio, due o tre metri, per portare alla luce altre interessanti vestigia, avvertite dal sordo rumore dei passi sui viottoli. Vedere poi il lago Pellicone in piena è davvero uno spettacolo entusiasmante, così come entusiasmante è osservare il Fiora in piena, discendere la cascata giù nel ripido letto di lava basaltica, mentre dalle alte coste sporgono vegetazione, enormi stalattiti travertinose, create dal fosso delle Cento Camerelle, dirottato qui da Canino, per riempire il fossato difensivo del castello della Badia.

Il nostro impegno escursivo

Dopo lo stradone costeggiato dall'acquedotto romano, che a monte del castello captava l'acqua per la Vulci “romana”, lasciamo alle nostre spalle le necropoli dell'Osteria e di Camposcala.  Trascuriamo a sud la necropoli di Pian di Maggio, ove il brigante eponimo dell’ex nostro Gruppo “Tinurzi”, ha ucciso il fattore di Guglielmi, Nazzareno Gabrielli, reo di non avergli comunicato, un giorno, lo spostamento dei carabinieri, che costò la vita all'amico del Tiburzi, Biagini. Il resto della giornata interamente immersi in ciò che resta ed emerge del vasto Parco Etrusco romano di Vulci. Strade, templi, monumenti porto e poi lungo il Fiora .. verso il grazioso laghetto del “Pellicone”, ricordato, per sua fortuna e successo nel film “Non ci resta che piangere”, ove era posto lo studio campale di Leonardo da Vinci.

Vanì, 16-01-2024 

 

 

 



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